Il problema determinato dalla latitudine del vincolo posto dal giudicato assolutorio
nel giudizio civile di danno è questione antica, dibattuta dalla dottrina processualpenalista
e processualcivilista, delle cui riflessioni si avvale la dottrina moderna che ne ripercorre
le speculazioni dogmatiche. Non deve meravigliare, perciò, se tale problematico rapporto
viene ancora esplorato contrapponendo la disciplina attuale con quella del codice del 1930
ed è risolto superando la teoria della unità della giurisdizione in nome della autonomia
del giudizio civile rispetto al processo penale. Eppure, affrontare il tema oggi non significa
affidarsi alle definizioni delle formule letterali adottate, in particolare, nell'art. 652 c.p.p.,
quanto, porsi domande più radicali e relative innanzitutto al dato valoriale della giurisdizione
e, solo dopo, di quello delle disposizioni normative relative ai rapporti tra materie
della giurisdizione che dalla prima deriva; ancora, esprime il bisogno di determinare
il loro fondamento ontologico per individuare la funzione che esse svolgono all'interno
della sequenza del processo penale e le loro ricadute nel sistema civile. Soprattutto, affrontare
il tema dei rapporti tra giudicato assolutorio e processo civile implica la necessità di individuare
la matrice dei confini che lo contraddistinguono; la quale, secondo noi, va identificata
nella categoria delle preclusioni processuali, funzionale non a dimostrare che la stretta
interdipendenza tra questioni penali, civili (e amministrative) rende irragionevole una piena
autonomia e separatezza tra i diversi settori dell'ordinamento, quanto il concetto opposto,
e cioè che quel rapporto trova soluzioni interne al processo, fisiologiche e non eccezionali,
indipendenti dalla (apparente) dicotomia unitarietà della giurisdizione/autonomia dei giudizi.
Sicchè, per stabilire la latitudine dell'art. 652 c.p.p. si devono trascurare le formule
proscioglitive pure indicate nella disposizione, e si deve favorire una indagine sull'ampiezza
dell'accertamento penale che diventa, in tal modo, il criterio razionale per individuare i limiti
di efficacia della pronuncia assolutoria nel giudizio civile di danno, ovvero, l'elemento
del vincolo, giacchè, da quel fatto conseguono obblighi risarcitori in sede civile. In questi
termini, il risultato dell'accertamento diventa fatto preclusivo di una ulteriore e diversa
verifica, nel giudizio civile, di quegli aspetti della responsabilità dell'imputato suscettibili
di influire sulla quantificazione del danno - non sulla ricostruzione del fatto-reato -,
indipendentemente dalla formula che lo raffigura. In questo senso, l'accertamento raggiunto
in sede penale rappresenta fatto processuale impeditivo (= la preclusione processuale) che nega
al giudice civile di valutare i fatti, storicamente e materialmente verificati nel giudizio penale,
in via autonoma e con pienezza di cognizione, essendo, viceversa, vincolato alle soluzioni
e alle qualificazioni adottate dal giudice penale.
L'AUTORE
Fabiana Falato (Benevento 1970) ricercatore di Procedura penale, insegna Cooperazione giudiziaria penale nell'Università
degli Studi di Napoli "Federico II". Ha insegnato Diritto Processuale Penale nell'Università della
Calabria e nell'Università del Sannio. È dottore di ricerca in Sistema penale e processo. È autrice di numerose
pubblicazioni, tra le quali segnaliamo le ultime: Immediata declaratoria e processo penale (2010), La querela. Tra
azione pubblica e privata (2012), Sui rapporti tra estradizione e mandato d'arresto europeo. A proposito del rifiuto
di consegna del cittadino europeo (2012).
Mese Pubblicazione
Luglio